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La gestione attiva delle foreste è fondamentale per la sicurezza del territorio

22 Mag 2014

L’importanza del recupero di una gestione attiva e sostenibile delle foreste è stata ribadita in occasione di un evento organizzato a Palazzo Rospigliosi dal Corpo forestale dello Stato sul tema “Evoluzione delle foreste italiane in un Paese che cambia”.

Nella stessa occasione è stato anche presentato il volume “Il contenuto di carbonio delle foreste italiane” relativo all’Inventario Nazionale Forestale del 2005, oltre ai risultati preliminari del nuovo inventario, previsto per 2015.

. L’abbandono delle aree rurali e montane – di cui si registra un progressivo aumento negli ultimi 60 anni –  rappresenta, infatti, un rischio ambientale, economico e sociale per il territorio e per l’intero Paese.

E’ infatti ormai ampiamente riconosciuto il ruolo essenziale svolto dalle foreste per il mantenimento della stabilità ambientale, in termini di biodiversità, ciclo dell’acqua, assetto idrogeologico, fissazione dell’anidride carbonica e prevenzione dei fenomeni di riscaldamento globale.

Le foreste rivestono un ruolo chiave nell’economia di molte aree rurali, e rappresentano la base per nuove iniziative, sia in chiave turistica, ricreativa e culturale, sia nella filiera produttiva ed energetica del legno.

Si pensi che il sistema industriale foresta-legno, in Italia coinvolge più di 125.000 imprese e più di 720 mila addetti, mentre, riguardo ai boschi delle arre naturali protette, si stimano oltre 22 milioni di presenze turistiche annue, pari al 5,9% del totale delle presenze turistiche italiane, con un totale di circa  102 mila posti di lavoro attivati.

Il paradosso è che il potenziale economico dei boschi italiani oggi risulta ancora in gran parte inespresso, rispetto ad un mercato del legno caratterizzato da una eccessiva dipendenza dall’estero (70%).

L’offerta nazionale di legname, infatti, risulta insufficiente a soddisfare la domanda delle industrie di trasformazione. La massa legnosa prelevata annualmente in Italia si attesta a meno 9 M di m3 (di cui oltre il 60% è rappresentato da legna per uso energetico) che corrisponde a poco meno di un terzo dell’incremento della disponibilità annua totale, pari a circa 37.2M di m3 (INFC, 2005).

Il dato dei prelievi nazionali, tra l’altro, risulta molto inferiore alla media dei Paesi dell’UE che si attesta al 62% dell’incremento totale annuo.

Ad ulteriore dimostrazione della ridotta capacità di prelievo della biomassa disponibile, si noti come, ad esempio, in campo energetico, l’Italia detenga il primato mondiale dell’importazione di legna da ardere e si posizioni al quarto posto per quanto riguarda il cippato e gli scarti di legno.

Un aumento record delle importazioni di legna da ardere (+25%) inoltre, si è verificato proprio nel 2013, a dimostrazione di una crescente tendenza al ricorso di modalità di riscaldamento delle abitazioni che se qualche tempo fa potevano considerarsi antiquate, oggi tornano a suscitare interesse sia per motivi economici che di sostenibilità ambientale.

Il fenomeno è legato anche ad una forte crescita della domanda di tecnologie più innovative, nel comparto delle stufe a legna e delle caldaie a pellets, settore in cui l’industria italiana, grazie ad uno storico know how, detiene una posizione di leadership nel mercato, soddisfacendo oltre il 90 per cento delle domanda sul mercato interno, e destinando quasi un terzo della produzione nazionale alle esportazioni.

“Appare quindi evidente l’importanza di rilanciare la gestione attiva e sostenibile dei boschi che, oltre alle valenze territoriali, sociali e paesaggistiche, potrebbe contribuire in modo decisivo anche al raggiungimento degli obiettivi del piano d’azione nazionale, fornendo biomassa ottenuta con metodi sostenibili sia nella produzione che nel taglio” ha affermato il presidente della Coldiretti  Roberto Moncalvo nel commentare la nuova stima (a cura del Corpo Forestale dello Stato) della superficie forestale che in Italia ha raggiunto quasi gli 11 milioni di ettari, con un aumento di oltre 600 mila ettari rispetto a 9 anni fa.

La valorizzazione delle valenze ambientali, produttive, sociali, culturali e ricreative dei boschi e delle foreste italiane non può prescindere, quindi, da scelte di gestione economica delle risorse forestali, che devono contemporaneamente riuscire a garantire l’approvvigionamento di materie prime e prodotti forestali per le filiere industriali, lo sviluppo socio-economico delle popolazioni locali, la conservazione degli ecosistemi e il loro stato di salute e non ultima, anche la loro fruibilità turistica.

La gestione forestale sostenibile, infatti, come processo (pluriannuale e multifunzionale) di tutela della risorsa naturale, ha rappresentato e rappresenta ancora oggi lo strumento principale per la conservazione della biodiversità e del paesaggio, per la lotta al dissesto idrogeologico, agli incendi boschivi e al cambiamento climatico, nonché una fonte occupazionale ed economica (sviluppo di attività imprenditoriali di fruizione o la didattica, ecc; produzione di prodotti forestali, legnosi e non legnosi; fornitura di servizi ecosistemici e beni pubblici).

Tuttavia, oggi ci troviamo a contabilizzare una crescita della superfice forestale nazionale (+ 1,7 milioni di ettari negli ultimi 20 anni, pari ad un aumento del 20%), più a seguito dei fenomeni di abbandono delle attività agro-silvo-pastorali (specie in alcune aree appenniniche e alpine) che come risultato di politiche a favore della gestione forestale attiva.

Gli interventi effettuati, infatti, sono stati guidati prevalentemente da logiche basate sui vincoli. Al proposito, si noti come oltre l’86,6% della superficie forestale nazionale sia sottoposta a forme di vincolo idrogeologico, ma solo il 15,7% dei boschi italiani (1,3 milioni di ettari) è sottoposto a una pianificazione di dettaglio (piani di assestamento), strumento fondamentale per garantire l’offerta di servizi ecosistemici in equilibrio con quella di prodotti commerciali (legname ad uso industriale e legna da ardere).

Un altro aspetto importante, quanto sottovalutato, è quello relativo alla caratteristica delle foreste (suolo e piante) di costituire un serbatoio di carbonio, acquisendo per questo una importanza fondamentale nell’ambito delle strategie di mitigazione climatica.

I boschi e le foreste italiane, infatti, contribuiscono al bilancio annuale delle emissioni dei gas serra grazie ai loro assorbimenti di carbonio che, contabilizzati dallo Stato, vengono sottratti dal totale delle emissioni nazionali, a vantaggio del raggiungimento degli obiettivi di Kyoto.

Sulla base dei dati più recenti, forniti dall’ISPRA (frutto di elaborazioni effettuate proprio a partire dall’ultimo Inventario Forestale Nazionale), si può affermare, infatti, che gli assorbimenti di carbonio ad opera dei boschi e delle foreste incidono per più del 20% sul totale della riduzione delle emissioni registrata in Italia nel triennio 2008-2012.

Secondo l’ultimo report ISPRA, infatti, le emissioni nazionali totali dei sei gas serra, espresse in co2 equivalente, nel 2012 sono diminuite dell’11.4% rispetto all’anno base (1990), ma questo risultato diventa notevolmente migliore (-14,3%) se si considera la cosiddetta voce Lulucf, e cioè il contributo legato agli assorbimenti di carbonio da parte dei boschi e delle foreste.

Secondo queste stime, il valore economico del servizio di sink (pozzo) di carbonio svolto delle foreste italiane, supererebbe i 600 milioni di euro, ma deve essere anche sottolineato che questo non costituisce uno stimolo per la gestione forestale, in quanto in Italia questi assorbimenti sono interamente contabilizzati dallo Stato, senza nessun riconoscimento economico all’attività di gestione e conservazione dei boschi e delle foreste effettuata dai privati (pari al 60% del totale). Questo a causa dell’attuale modalità di gestione del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio forestale che non permette ancora il riconoscimento della titolarità dei crediti di carbonio agli operatori agroforestali che li hanno prodotti. Al danno si aggiunge la beffa, se si considera che gli stessi operatori non possono commercializzare i crediti di carbonio (attestanti gli assorbimenti prodotti) nemmeno nell’ambito dei mercati volontari, per non incorrere nel rischio della “doppia contabilizzazione” dei titoli.

Ora, anche su questa questione, non si può non osservare l’incoerenza che caratterizza il nostro Paese, legata al necessario ricorso ai meccanismi flessibili per raggiungere gli obiettivi nazionali di Kyoto, colmando il gap ancora mancante attraverso l’acquisto di titoli all’estero (con corrispondenti elevati esborsi economici, visto che il prezzo di mercato attuale della CO2 si attesta tra i 5 e i 7,5 € a tonnellata), mentre scarse o nulle appaiono le risorse investite per promuovere le attività di carbon sink da parte del settore forestale nazionale.

La disattenzione rivolta a questa prerogativa del sistema agroforestale è imperdonabile anche in relazione alle già citate valenze ambientali e di prevenzione dei rischi di dissesto idrogeologico insite nella gestione sostenibile delle foreste. In questo senso, quelli che, nell’ambito della partita di Kyoto, oggi appaiono dei costi “a perdere”, potrebbero più convenientemente trasformarsi in investimenti con importanti ricadute sulla sicurezza territoriale del nostro Paese.

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