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Clima: conclusa la COP28 a Dubai

20 Dic 2023

Dopo una lunga discussione, è stato, approvato il documento finale della 28ª Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP 28) che si è svolta dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 a Dubai, negli Emirati arabi uniti. L’UE e i suoi 27 Stati membri hanno partecipato all’evento in qualità di parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Dopo aver rischiato il fallimento, la COP28 si è conclusa con l’approvazione di un documento frutto di un compromesso tra le parti, salutato in modo molto differenziato dai diversi partecipanti, con giudizi che vanno da chi lo definisce un “accordo storico” a chi lo trova del tutto insufficiente.

L’apertura dei lavori della Cop 28, la riunione annuale dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, UNFCCC, a Dubai il 30novembre è stata per lo meno inconsueta. Ci si preparava ad ascoltare discorsi abbastanza scontati, dati caratterizzati da un forte allarmismo, propositi di cambiamenti epocali, il tutto scandito da scadenze inderogabili fissate forse con eccessiva fretta e sorrette da un ottimismo atteso alla prova dei fatti. Invece a Dubai vi è stato molto più realismo, specialmente su tre aspetti: a) in tema di de-carbonizzazione con un conseguente, implicito, ridimensionamento della transizione climatica; b) sulle tempistiche con una più realistica gradualità della transizione; c) sul piano degli impegni finanziari da parte dei maggiori Paesi, compresa l’Italia, che hanno messo sul tavolo aiuti per i Paesi colpiti dalle conseguenze economiche della lotta al cambiamento climatico, ciascuno una pesante fiche da 100 milioni di dollari.
Il riposizionamento energetico viene in parte e temporaneamente ridimensionato per quanto riguarda le fonti fossili mentre riemerge il nucleare rivalutato come energia pulita e possibile almeno nel medio-lungo periodo.
Ma l’andamento della Cop 28 induce a riconsiderare anche la parte di transizione che riguarda l’agricoltura e l’alimentazione, quella “Green” al momento forse non ben chiara nelle modalità e nei tempi, con scadenze però oggetto, come si è visto, di possibili dilazioni.
Il settore primario, infatti, viene citato nelle premesse del documento approvato, là dove si riconosce “la priorità fondamentale di salvaguardare la sicurezza alimentare e porre fine alla fame, nonché’ le particolari vulnerabilità dei sistemi di produzione alimentare agli impatti avversi del cambiamento climatico”. Inoltre, si riconosce anche “il ruolo cruciale della protezione, conservazione e ripristino dei sistemi idrici e degli ecosistemi correlati all’acqua nel fornire benefici e co-benefici di adattamento climatico, assicurando nel contempo garanzie sociali ed ambientali”. Si incoraggia, ancora, l’attuazione di soluzioni integrate e multisettoriali, come la gestione dell’uso del suolo, l’agricoltura sostenibile, sistemi alimentari resilienti, soluzioni basate sulla natura e approcci basati sugli ecosistemi, e la protezione, conservazione e ripristino della natura e degli ecosistemi, compresi foreste, montagne e altri ecosistemi terrestri e marini e costieri. queste azioni possono offrire benefici economici, sociali e ambientali, come una maggiore resilienza e benessere, e si sostiene che l’adattamento possa contribuire a mitigare impatti e perdite.

Questo dovrebbe essere parte di un approccio guidato dal Paese, sensibile al genere e partecipativo, basato sulla migliore scienza disponibile e sulle conoscenze dei popoli indigeni e dei sistemi di conoscenza locali. Il documento finale, al punto 63, sollecita le parti e invita gli attori non appartenenti alle parti a incrementare l’ambizione e potenziare l’azione e il supporto all’adattamento, al fine di accelerare azioni tempestive su vasta scala e a tutti i livelli, dal locale al globale, in allineamento con altri quadri globali, per raggiungere, tra l’altro, i seguenti obiettivi entro il 2030 e progressivamente oltre: (…) (b) raggiungere produzione e distribuzione di cibo resilienti al clima, nonché’ aumentare la produzione sostenibile e rigenerativa e l’accesso equo a cibo e nutrizione adeguati per tutti. Ovviamente, molti altri punti interessano l’agricoltura, come quelli sulla biodiversità, la forestazione etc. e altri riguardano le risorse ittiche e la tutela del mare.
Tornando alle considerazioni generali sugli esiti della Cop 28 e su che cosa è accaduto negli ultimi 3 anni per i prodotti energetici, sarebbe opportuno sottolineare come l’impennata dei prezzi che hanno mandato in confusione il mercato, nonostante quanto si crede, non è stata creata dall’aggressione russa all’Ucraina. Il prezzo del petrolio sino alla prima metà del 2021 era sui 55-60 $/barile, ma già nella seconda metà dell’anno si era mosso al rialzo portandosi, a fine 2021, a circa 80 $. Da gennaio 2022 ha dato inizio aduna nuova fase ascensionale con un massimo subito prima dell’inizio del conflitto a 110$/barile e un secondo a giugno/luglio 2022, sui 115-118 $/barile. Ma da quel momento ha iniziato a scendere sino ai 60$ dell’autunno 2023. Questo andamento si è innestato sui tagli di produzione indotti dalla pandemia e sulla riduzione degli scambi a causa del conflitto combattuto anche sul piano economico con sanzioni e ritorsioni. A ciò si è sommata la prospettiva della riduzione dei prodotti fossili per la transizione climatica con il risultato di un’ulteriore contrazione dell’estrazione di petrolio e di gas. L’impennata dei prezzi si è estesa a tutte le commodity innescando l’inflazione mondiale da fine 2022 a luglio 2023. La fiammata dei prezzi e la riduzione della circolazione monetaria abbinata all’incremento dei tassi per frenarla hanno ridotto la domanda di tutti i beni, compresi anche gli alimentari. I costi sono saliti, in parte “trascinati” dall’onda inflazionistica e in parte da quelli degli input che usano energia per essere prodotti come carburanti, fertilizzanti, antiparassitari. L’offerta agricola si è contratta spingendo al rialzo i prezzi al secondo posto dopo gli energetici.

Nonostante il quadro avverso la produzione agricola mondiale ha continuato a crescere, ma a tassi inferiori ai decenni precedenti, in Europa e, in particolare in Italia.
In questo contesto si inseriscono la transizione energetica e quella “green” che, insieme ai vincoli introdotti dalla Pac, comportano una riduzione quantitativa dell’impiego dei mezzi di produzione. Il binomio prezzi alti-tassi in crescita provoca un grave calo della domanda alimentare nei Paesi a reddito più basso. La prospettiva per l’agricoltura diviene così sempre più incerta: carenza produttiva, rialzo dei prezzi, calo della domanda, condizioni di vita in aggravio nei PVS e in quelli emergenti, transizione “Green” su cui le politiche agricole, compresa la Pac, sembrano insistere contempi stringenti e poca o nulla gradualità. Ecco che, allora, il termine “transizione” deve essere interpretato come un passaggio da una condizione ad un’altra ritenuta migliore. Ma non si può ragionevolmente realizzare se non si quantificano a priori le conseguenze complessive che ne possono derivare, comprese quelle negative spesso messe in secondo piano. Se non vogliamo provocare la peggior crisi alimentare della storia, aggravata da una popolazione più numerosa di sempre e con consumi pro capite record, dobbiamo poter incrementare la produzione e non ridurla. Negli ultimi tre decenni la riduzione della produzione agricola è una realtà. Le misure restrittive adottate hanno condotto a perdite di output che si sono sommate alle anomalie climatiche contro le quali non sono di fatto ammesse tecnologie innovative di contrasto. Da sempre l’umanità ha stretto un tacito patto fra Società e Agricoltura che si realizza conspecifiche politiche economiche a favore dell’Agricoltura in cambio di aumenti di produzione e disponibilità di cibo. Se la Cop 28 ha introdotto un ripensamento sulle strategie energetiche, si può ritenere logico, in questo delicato momento storico, sollecitare una revisione anche delle politiche di transizione agricola alimentare, prima che si torni alle guerre per il cibo come già avviene per l’energia.

A testimonianza dell’importanza degli impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura si consideri che l’accordo sul documento finale della Cop28 a Dubai è stato raggiunto nell’anno che si appresta a classificarsi come il più caldo mai registrato nel pianeta con la temperatura record sulla superficie della terra e degli oceani, superiore di 0,13 gradi rispetto al 2016 che deteneva il primato fino ad ora (analisi Coldiretti sulla base dei dati del Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus nei primi undici mesi del 2023).
La tendenza al surriscaldamento è dunque più che evidente anche in Italia, che risente degli effeti particolarmente intensi che colpiscono l’area mediterranea (dichiarata “Hot Spot” climatico) dove il 2023 si classifica fino ad ora al secondo posto tra gli anni più caldi dal 1800, con una temperatura superiore di 1,05 gradi la media storica da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1800 (analisi della Coldiretti sui dati Isac Cnr nei primi undici mesi). Un andamento che è destinato a cambiare la classifica degli anni più roventi negli ultimi due secoli in Italia che si concentra nell’ultimo decennio e comprende fino ad ora nell’ordine il 2022 il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020.
L’anomalia climatica del 2023 è stata accompagnata fino ad ora da una media di oltre 9 eventi estremi al giorno per il maltempo lungo la Penisola, tra grandinate, trombe d’aria, bombe d’acqua, ondate di calore e tempeste di vento che hanno provocato vittime e danni (analisi Coldiretti sulla base dei dati dell’European Severe Weather Database (Eswd)).
Il risultato è il crollo dei raccolti nazionali che mette a rischio gli alimenti base della dieta mediterranea con riduzioni che vanno dal 20% per il vino al 30% per le pesche e nettarine ma anche la produzione dell’olio extravergine nazionale è stimata in circa 290mila tonnellate, ben al di sotto della media dell’ultimo quadriennio. Un’annata nera per l’agricoltura italiana con danni che, tra coltivazioni e infrastrutture, superano i 6 miliardi a causa dei cambiamenti climatici.
Siamo di fronte ad una evidente tendenza alla tropicalizzazione con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal caldo al maltempo con effetti devastanti come dimostrano le alluvioni in Romagna e in Toscana.
L’agricoltura italiana è diventata la più green d’Europa ed è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma, come confermato dai contenuti del documento finale della CVOP28, il settore agricolo è anche tra i più importanti per contrastarli. Il ruolo nel campo della mitigazione climatica è stato sottolineato anche dal Presidente Prandini che ha sottolineato come “i cambiamenti climatici impongono una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio”.
Un obiettivo che – continua Prandini – richiede un impegno delle Istituzioni per accompagnare innovazione dall’agricoltura 4.0 con droni, robot e satelliti fino alla nuova genetica green no ogm alla quale la Commissione Europea, anche grazie al nostro pressing, sta finalmente aprendo le porte. Servono – conclude Prandini – investimenti per la manutenzione, risparmio, recupero e regimazione delle acque con un sistema diffuso di piccoli invasi che possano raccogliere l’acqua in eccesso per poi distribuirla nel momento del bisogno.






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