Con una recente sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione, sez. pen., è stato chiarito l’ambito di applicazione della deroga in materia di rifiuti disposta dalla normativa generale (il d.lgs. n. 152 del 2006 – codice dell’ambiente) che esclude dalla disciplina del rifiuto il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, qualora sia certo il reimpiego a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Presupposto dell’applicabilità di tale previsione è il fatto che le terre e rocce da scavo debbano riutilizzarsi a fini costruttivi nello stesso sito nel quale sono state estratte.
La società cooperativa di trasporti, condannata dalla Corte di appello al pagamento della sanzione pari a 60 quote per il compimento dell’illecito amministrativo dipendente dal reato di trasporto non autorizzato di rifiuti, ha proposto ricorso in Cassazione. In particolare, la società ha fatto valere che la mera attività di trasferimento di terre e rocce da scavo – estratte nell’ambito di un appalto comunale avente ad oggetto opere per arredi, pavimentazione e verde, destinate a lavori di livellamento di terreno con riporto di materiale vegetale in un’area distante di circa 500 metri per boschi e orti urbani – non potesse essere configurata quale attività di trasporto di rifiuti, trattandosi di mero spostamento di terreno nella medesima area.
La Corte d’appello, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto applicare la deroga per i non rifiuti prevista dal richiamato codice dell’ambiente che impone il reimpiego del materiale di risulta nello stesso sito in cui è stato escavato, così come avrebbe dovuto escludere la responsabilità amministrativa dell’ente in assenza del ricorrere del requisito oggettivo rappresentato dal fatto di aver commesso il reato nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso della società cooperativa, ha ritenuto non contestabile che il materiale escavato fosse stato trasportato in un sito diverso da quello di origine in ragione dell’orientamento di giurisprudenza costante secondo cui per sito debba intendersi «l’area o la porzione di territorio geograficamente definita e determinata» che non si presta a ricomprendere distinte e autonome porzioni di territorio che, benché ricadenti nel medesimo comune e non distanti tra loro, non siano contigue e presentino, tra l’altro, una diversa destinazione. A sostegno di tale orientamento, la Corte di cassazione opera un rinvio alla disciplina speciale di cui al d.P.R. n. 120 del 2017 (in attesa di essere modificata dal decreto ministeriale di attuazione di quanto previsto dal d.l. n. 13 del 2023 conv. con l. n. 41 del 2023), che individua i requisiti che terre e rocce da scavo devono possedere per essere escluse dall’ambito dei rifiuti. Ferma restando la necessità che il reimpiego debba avvenire nello stesso sito, il riutilizzo in un sito diverso può ritenersi ammesso soltanto per i sottoprodotti per i quali sia prevista, tra le altre condizioni, la redazione ed il rispetto di un piano di utilizzo o della dichiarazione richiesta per i cantieri di piccole dimensioni.
Quanto al requisito oggettivo in tema di responsabilità degli enti, secondo i giudici della Corte di cassazione, tale presupposto sussiste pure in presenza di un esiguo risparmio di spesa, purchè apprezzabile, collegato a condotte illecite anche non sistematiche, così come può consistere in una riduzione dei tempi e in un conseguente vantaggio derivante dalla disponibilità di materiale da impiegare per il livellamento dell’area destinata a boschi e orti urbani.
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