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Conferenza ONU sul CLIMA (COP27)

8 Nov 2022

Dal 6 al 18 novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto, si svolge la COP27, la conferenza Onu sul clima.

La COP27 si inserisce in una cornice internazionale caratterizzata dalla guerra e dalla crisi delle risorse, con il rischio che, nonostante l’evidenza delle conseguenze drammatiche dei cambiamenti climatici, in molti Paesi lo shock energetico dell’ultimo anno faccia crescere la spinta a frenare di colpo la transizione ecologica, e riprende quota perfino il consumo del carbone, il peggiore dei combustibili fossili dal punto di vista climatico.

L’assenza al tavolo di Paesi tra i maggiori emettitori (Cina e India su tutti) la dice lunga sulle ambizioni che questo incontro potrà avere, in termini di reale incidenza contro il cambiamento climatico.

Se l’Agenzia internazionale dell’energia prevede che il picco di emissioni di CO2 avverrà a breve, nel 2025, perché proprio l’incertezza degli approvvigionamenti fossili accelererà il passaggio alle rinnovabili, tuttavia, a livello politico, l’attenzione è concentrata non sull’onda lunga della trasformazione energetica, ma sulla fluttuazione a breve che vede in primo piano le difficoltà politiche.

L’obiettivo della Cop27 è, quindi, molto impegnativo. Si tratta di riuscire a convincere il mondo a mantenere lucidità sugli effetti dei cambiamenti climatici durante una situazione di contingente difficoltà politica ed economica. Mantenere coerenti gli impegni climatici quando il gas arriva a quote fino a ieri inimmaginabili – con gli inevitabili riflessi su un’economia che non è ancora riuscita a emanciparsi dalla dipendenza dai fossili – non è facile, anche se appare per certi versi ancora più necessario.

La guerra in Ucraina ha solo accelerato l’instabilità dei prezzi dell’energia (e di molte materie prime) perché l’economia mondiale, tentando di uscire dal forte rallentamento imposto dalla pandemia, ha misurato la fragilità delle basi fisiche su cui poggia. Le ragioni profonde della crisi sono strutturali e dipendono dal contrasto tra consumi sempre più velocemente in crescita e risorse finite. Lo si evince chiaramente dai rapporti delle varie agenzie internazionali, concordi nell’indicare la rapida fuoriuscita dai combustibili fossili come condizione indispensabile per evitare l’aggravarsi dei disastri che sono sotto gli occhi di tutti.

L’Unep, ad esempio, ha ricordato che gli impegni di taglio delle emissioni finora presi dai governi (e non sempre mantenuti) non sono sufficienti perché porterebbero a un aumento della temperatura globale che si avvicina ai 3 gradi. L’Organizzazione meteorologica mondiale ha precisato che questo aumento sarà molto più accentuato in alcune aree del pianeta, tra cui l’Europa in cui negli ultimi 30 anni il riscaldamento ha viaggiato a una velocità più che doppia rispetto alla media globale. L’Unesco ha aggiunto che un terzo dei ghiacciai che appartengono al patrimonio mondiale dell’umanità sparirà entro il 2050 e che la difesa degli altri due terzi dipende dal rispetto degli accordi di Parigi del 2015 che hanno fissato, come limite massimo da non superare, un aumento compreso tra 1,5 e 2 gradi.

Compito della COP27 sarebbe stato quello di portare gli impegni volontari assunti dai governi ai livelli necessari a rispettare le indicazioni che vengono dalla comunità scientifica e che sono state ratificate dalla conferenza Onu di 7 anni fa. La conferenza, che vede al lavoro 40 mila delegati di più di 190 Paesi, si svolge all’insegna delle difficoltà diplomatiche tra i grandi blocchi politici, legate alla guerra in Ucraina e dell’aggravarsi delle tensioni attorno a Taiwan.

La conferenza di Sharm el-Sheikh è stata ribattezzata come una Cop “ponte”, un semplice passaggio tra i momenti importanti del percorso negoziale. Tuttavia, alcuni temi sono stati posti sul tappeto e le risposte che arriveranno in ogni caso avranno un peso.

Il primo tema è l’adeguamento degli impegni di taglio delle emissioni finora presi dai governi. Chi metterà sul piatto una sforbiciata più consistente? Finora in pochi si sono fatti avanti. Dalla Cop26 di Glasgow, solo 26 Paesi hanno intensificato la loro azione di contenimento delle emissioni di gas serra. “Siamo sulla buona strada per un caos climatico irreversibile”, ha ammonito il segretario dell’Onu Antonio Guterres. “La COP27 deve essere il luogo in cui ricostruire la fiducia e ristabilire l’ambizione necessaria per evitare di condurre il nostro pianeta oltre il precipizio climatico”.

Il secondo tema caldo all’ordine del giorno, anche per la collocazione geografica della conferenza, è quello del loss and damage, cioè il calcolo dei danni causati dalla crisi climatica e la definizione delle responsabilità. Il continente che ospita la conferenza è responsabile solo di meno del 4% delle emissioni serra cumulative ma sta pagando il conto più salato per gli effetti del cambiamento climatico. E il Pakistan, chiamato a co-presiedere la seduta inaugurale, è stato vittima proprio nelle settimane scorse di inondazioni che hanno avuto un impatto drammatico. In discussione è l’attuazione dell’impegno da parte dei Paesi a industrializzazione avanzata, ribadito anche a Glasgow, di versare ai Paesi che devono fare i primi passi sulla strada della transizione ecologica 100 miliardi di dollari l’anno nel periodo 2020-2025 per contribuire a ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Nel 2020 questi aiuti sono arrivati a quota 83 miliardi.

E’ chiaro che per colmare la differenza ci vogliono risorse aggiuntive, ma soprattutto servirebbe un approccio diverso. Se la green economy è ancora vissuta come una “tassa”, difficilmente decollerà. Al contrario se si rimuoveranno gli ostacoli che la rallentano il decollo delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, dell’economia circolare diventerà un processo spontaneo.

E’ quello che prevede l’Agenzia internazionale dell’energia. Secondo l’Iea gli investimenti in energia pulita arriveranno a oltre 2 mila miliardi di dollari l’anno entro il 2030, con un aumento di oltre il 50% rispetto a oggi. In questo scenario la quota di combustibili fossili nel mix energetico globale scenderà dall’80 al 60% entro metà secolo. Non è ancora abbastanza. Ma è una tendenza che potrebbe accelerare rimettendo mano all’architettura della finanza climatica. Vista la situazione sarebbe già un risultato se la Cop27 riuscirà a fare un piccolo passo per accelerare questo percorso.

L’’agricoltura guarda con preoccupazione all’evoluzione del cambiamento climatico. Questo vale in particolare per le regioni mediterranee, che sono considerate un “hot spot” e suscettibili di subire gli effetti più catastrofici.

In Italia, infatti, l’aumento delle temperature è stato accompagnato dall’esplosione degli eventi estremi nel 2022 con una media di oltre 9 al giorno sulla Penisola tra siccità, bombe d’acqua, nubifragi, tempeste di vento, trombe d’aria e violente grandinate che hanno provocato danni all’agricoltura nazionale per un valore che supera già i 6 miliardi di euro dall’inizio dell’anno, pari al 10% della produzione nazionale.

A testimonianza dell’importanza degli esiti della COP27, non può non essere sottolineato il fatto che il 2022 si classifica fino ad ora in Italia come l’anno più caldo di sempre con una temperatura nei primi dieci mesi addirittura superiore di +1,07 gradi rispetto alla media storica, ma si registrano anche precipitazioni ridotte di oltre 1/3, secondo l’analisi Coldiretti su dati Isac Cnr.

L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma è anche il settore più impegnato per contrastarli promuovendo l’uso razionale dell’acqua, l’innovazione tecnologica per la riduzione dell’impatto ambientale, l’economia circolare con la produzione di energie rinnovabili come biogas e biometano e lo sviluppo del fotovoltaico sui tetti senza consumo di terra fertile.

Una consolazione, per quanto parziale, è che l’agricoltura italiana è diventata negli anni la più green d’Europa ma, di fronte al caro energia e al cambio del clima, bisogna intervenire in modo più urgente ed efficace per salvare stalle e aziende ed investire con interventi strutturali per guardare al futuro, dai bacini di accumulo per l’acqua di cui le campagne hanno bisogno all’agricoltura 4.0, per tagliare spese e aumentare produttività. Dal punto di vista della normativa climatica europea, un discorso a parte meriterebbe la valorizzazione dei carbon sink. Il contributo del settore agro-forestale alla neutralità climatica, grazie agli assorbimenti di carbonio realizzabili dal suolo e dalle piante, stenta ancora a trovare un riconoscimento ed un sostegno, a fronte di un indispensabile servizio eco-sistemico che si inserisce come una delle leve principali delle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici.

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